Fichi di Cosenza Dop
Origini della pianta
Le prime notizie sulla pianta di fico (Ficus carica) risalgono a epoca molto remota: già nella piramide di Gizah, eretta nel periodo compreso tra il 4.000 e il 1.500 a.C., è stata rappresentata la raccolta dei fichi. Gli antichi egizi hanno lasciato nei propri sarcofagi le descrizioni delle tecniche di salatura ed essiccamento al sole, nonché dei metodi da seguire nella costruzione di appositi edifici per conservarli a lungo. In Grecia, dove il fico era chiamato “sykon”, la produzione era talmente attiva che fu necessario costituire una classe dirigente specializzata per controllarne il commercio: i sicofanti. La fama dei fichi greci era tale da trovarne le tracce perfino nei banchetti dei re dell’Asia minore. Si racconta che Serse, dopo averli gustati, dichiarò guerra agli Ateniesi promettendo a sé stesso di non mangiarne più fino a quando non si fosse impadronito del paese che li produceva.
Per i romani il fico era addirittura una delle tre piante sacre, insieme all’ulivo e alla vite. In alcune delle sue opere, Ovidio racconta la tradizione di offrire ad amici e parenti frutti di fico e vasi di miele all’inizio dell’inverno, come augurio affinché il nuovo anno iniziasse con dolcezza.
La pianta di fico giunse in Calabria in epoca incerta, probabilmente al tempo della civiltà greco-romana, per opera dei viaggiatori che la impiegavano come merce di baratto. Da allora in poi la sua coltivazione si è insediata velocemente, in particolare nella provincia di Cosenza, grazie anche a una situazione pedoclimatica ideale.
Come si pratica l’essiccazione?
La lavorazione del fico, pur essendo in gran parte simile in tutto il cosentino, presenta delle varianti da paese a paese.
Si inizia alla fine del mese di agosto con la raccolta dei fichi già leggermente appassiti sui rami, per questo detti “passuluni”. Dopo la raccolta, è necessario completare il processo di essiccazione per un tempo che varia a seconda del grado di maturazione e del metodo utilizzato. Con il metodo tradizionale, i fichi vengono fatti seccare al sole diretto su supporti di canne detti “cannizzi”. Si possono utilizzare anche materiali diversi dalle canne, l’importante è che il fondo del graticcio permetta la traspirazione e la conseguente perdita d’acqua. Essendo questo un metodo totalmente naturale, il periodo cambia in funzione della temperatura e delle condizioni climatiche. In genere, l’essiccazione dura dai tre ai sette giorni, durante i quali i fichi vengono rivoltati più volte, altrimenti il rischio è che marciscano. L’essiccazione protetta, invece, prevede che i frutti siano mantenuti per un massimo di 5 giorni all’interno di serre, parzialmente o totalmente chiuse, con copertura in vetro o altro materiale trasparente e aperture regolabili, in modo che la temperatura massima possa essere mantenuta inferiore a 50°C.
Una volta asciugato, il fico viene spaccato avendo cura di tenere le due estremità unite all’apice del frutto. Successivamente viene farcito con gherigli di noci. I fichi così farciti vengono infilzati tramite delle aste di canna, e l’intero filare ottenuto viene infornato in forni a legna.
La denominazione
Nel 2010, il riconoscimento DOP dei “fichi di Cosenza”, così come recita il disciplinare di produzione, designa esclusivamente i frutti essiccati di fico domestico “Ficus carica sativa”, appartenenti alla varietà Dottato.
I tratti distintivi di questi frutti sono il sapore dolce, le dimensioni piuttosto piccole, la buccia di color verde chiaro e la polpa morbida.
Anche la guida “Gambero Rosso” non si è lasciata scappare una simile prelibatezza tutta calabrese permettendo, tra le sue pagine, il trionfo dei fichi cosentini ed esaltandone la peculiarità. Su 7 aziende consigliate dalla rinomata guida, 5 sono della provincia di Cosenza.
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